Andrea Pinchi, Domenica Regazzoni: Duetto in materia di musica

Matteo Pacini

Nella musica il Duetto è una composizione per due esecutori vocali o strumentali che attribuisce parti di uguale rilievo, ma nell’accezione scherzosa del termine indica anche una coppia di persone ben assortite. Questo è dunque il termine più adatto per intitolare una mostra che appaia due personalità artistiche diversissime ma affini al tempo stesso, che ha il preciso scopo di cogliere un’armonia dialogica di poetiche con un comune denominatore: la musica.

Un giorno, passando per caso in via della Palla, Domenica Regazzoni entrò nella nostra galleria incuriosita da questo piccolo spazio nuovo nel cuore della vecchia Milano. L’ambiente intimo e raccolto le parve molto adatto alle sue opere che, dopo una piacevole chiacchierata, ci invitò a vedere nel suo studio.
Ciò avvenne di lì a poco in un soleggiato pomeriggio di ottobre, nella magia di una casa ricca di storia, sotto le mura della fortezza di Peschiera Borromeo, dove l’artista vive e crea immersa nel silenzio e nei ricordi.
La musica è una costante nella vita di Domenica Regazzoni; lo zio organista per passione; il fratello autore; compositore e produttore; il figlio virtuoso violinista; poi l’amicizia e le collaborazioni con grandi della musica come Mogol e Lucio Dalla; ma primo fra tutti il padre, maestro liutaio di fama internazionale, fonte di quella che lui stesso chiamava con ironia la “malattia di famiglia”; la musica appunto.
Anche Domenica è contagiata dalla travolgente passione musicale dei suoi familiari ma la esprime da artista figurativa, cioè cercando di materializzare il suono attraverso materia modellata e composta. Pittrice per vocazione affronta dapprima la figurazione esprimendosi con disegni e acquarelli, poi, come spesso accade durante un’evoluzione artistica, la forma si astrae, la poetica si sintetizza e s’impone la necessità di misurarsi con la tridimensione, prima sotto forma di collage materici, poi di scultura. Le esperienze internazionali e le grandi collaborazioni si susseguono numerose negli anni in cui Domenica si confronta con la poesia, l’incisione, le culture orientali. La musica però è sempre presente e la celebrazione del lavoro paterno continua ancora oggi con “una sensibilità estetica che (…) non è solo plastica ma insieme visiva, ornamentale e acustica” come nota Gillo Dorfles. L’artista lombarda affronta il tema della “distruzione” dell’oggetto artistico novecentesco scomponendo, sagomando, sovrapponendo, incollando fra loro parti di violini. Trasforma l’oggetto in soggetto dell’opera d’arte e, attraverso questa scomposizione, dà nuova vita e nuova identità alle composizioni paterne.

Conosco Andrea Pinchi da molto tempo poiché conterranei. Dopo esserci persi di vista per anni, lo ritrovai nel 2010 in occasione della sua prima mostra personale a Palazzo Trinci di Foligno e fu per me un piacere scoprire la sua vena artistica che non conoscevo.
In effetti, Andrea ha coltivato a lungo la passione per l’arte con discrezione, impegnandosi appieno come organaro nell’antica attività di famiglia. Il fascino della complessità strutturale degli organi che costruiva o ai quali ridava voce dopo secoli di silenzio, l’ha indotto a considerare la seduzione di quegli antichi materiali come mantici, carte ossidate, lastre di piombo, legni quattrocenteschi e pelli animali, residui della produzione o del restauro di quelle maestose macchine. In quei materiali di scarto pregni di storia e valore estetico lui già intravedeva l’opera che ne sarebbe sortita. Nascono così composizioni su fondi spesso monocromatici che “evidenziano la seconda vita di accessori che hanno perso la loro funzione” (Maurizio Coccia).
Accumulando di giorno, componendo di notte, Andrea Pinchi ha creato per anni con il supporto dei suoi mentori Nereo Ferraris e Aurelio De Felice, osservando e studiando i grandi della storia dell’arte, forte del sostegno dalla zia Maria Pia (figura fondamentale per la sua formazione culturale e artistica). Solo recentemente Andrea ha deciso di esporre le sue opere, cominciando un percorso che in breve tempo lo ha portato ad avere riscontri e apprezzamenti sia in Italia che all’estero.

Benché Domenica Regazzoni e Andrea Pinchi abbiano percorso strade sensibilmente diverse nella vita, hanno in comune il legame atavico con il retroterra musicale. In entrambi è forte la necessità di salvaguardare, attraverso l’arte, la memoria della fase di costruzione dello strumento musicale, recuperandone le componenti in una dimensione per entrambi più pittorica che scultorea.
Il concetto di base non è quello dello “smembramento” dell’oggetto del Nuovo Realismo (che con collera denunciava la violenza della società consumistica), bensì l’accurata salvaguardia delle componenti, assemblate fra loro come i colori di una tavolozza. Il risultato è così un articolo di "contemplazione", che ci ricorda l’ingegno contenuto in ogni oggetto, il tutto espresso attraverso la musicalità dei materiali e dei colori.