Italiani - Artisti Contemporanei
Vittorio Sgarbi
Vedere certe pitture di Domenica Regazzoni, in particolare quelle degli anni Novanta, e certe sue opere plastiche degli anni Duemila, anche quando non si volessero classificare come strettamente scultorei i suoi assemblages, é come avere a che fare con due artisti diversi.
Da una parte, specie nei dipinti di figura, un linguaggio di derivazione post-impressionista, fortemente cromatico, ancora impregnato di sapori da prima metà del Novecento, principalmente secondo una direzione espressionista, ma non solo (si pensi, in proposito, a certi sfondi naturali dall'essenziale approccio cézanniano, anche nell'impiego di tonalità smorzate), in continuità ideale con quanto fatto in ambito italiano da artisti quali, per esempio, Carlo Levi o, per altri versi, Virgilio Guzzi. Dall'altra, un senso spiccato della tridimensionalità, nemmeno sfiorato dalla dominante planarità delle pitture, che attinge a molto della poetica oggettuale sviluppatasi dal secondo Novecento in poi, al Nouveau Réalisme di Arman prima di altro (evidente, da questo punto di vista, il rimando al tema dei violini sezionati), ma, nondimeno, anche a tutte le esperienze derivate dagli shadow boxes di Joseph Cornell o, in un campo più propriamente scultoreo, dai casellari di oggetti in monocromo allestiti da Louise Nevelson.
Esiste un terreno di comune condivisione fra queste due Regazzoni apparentemente divergenti? Certo che c'é, sta in tutte le altre opere che stanno attorno a quelle prima indicate. Pitture, per esempio, che diventano materiche, ripudiando la figurazione diretta in favore di simbolismi informali, di sentita complicità emotiva, che al loro interno possono accorpare polveri terrose, frammenti minerali, trame di tessuto o foglie d'oro. Sculture che, come nelle suddivisioni di strumenti musicali, insistono sul principio creativo della destrutturazione, figlio riconosciuto del Futurismo e del Cubismo, ma non esercitandolo su un precostituito object trouvé, bensì su forme tutte da inventare, ispirate a un astrattismo vagamente geometrizzante, per quanto atipico e intuitivo.
Capisci, allora, che fra pittura e scultura non esiste un divario insormontabile. C'é solo un'alternanza di modi espressivi, ora più analitici, ora, invece, dal piglio sintetico.