Ragazza Regazzoni
Luca Beatrice - Monografia Allemandi Ed. 2024
Disegna, dipinge, scolpisce, scrive, qualche volta canta. Per Domenica Regazzoni vita e arte sono la stessa cosa, coincidono perfettamente e davvero non è un modo di dire ma pura verità.
Le prove iniziali della giovane pittrice giungono nei primi anni Settanta, con la frequentazione all’Accademia di Brera. Gli autoritratti denotano l’impostazione marcatamente didattica di inizio carriera, contraddistinti già dalla profonda espressività del volto che lascia intravedere il pensiero soggettivo dell’autrice, con lo sguardo rivolto verso pensieri lontani. A rivederli, a distanza di così tanto tempo, risultano ancora freschi, immediati, spontanei eppure ben costruiti. Negli anni Novanta Domenica mette da parte definitivamente la pittura figurativa per scegliere un’impostazione astratta e materico-informale. La tavolozza, ancora da espandere e fondere con l’animosità del proprio essere, si esalta grazie alle sperimentazioni tecniche con l’acquerello e il pastello. Strumenti d’artista che incidono indiscutibilmente nel suo stile, tecniche che non consentono l’errore ma permettono l’uso di velature e trasparenze, una differente malleabilità delle forme.
Un’anima antica, profonda, traspare dal lavoro di Domenica Regazzoni; mantiene la leggerezza e una rara vitalità reattiva di spirito e mente, “espressione di una perenne adolescenza” come affermato dallo storico Francesco Butturini. La leggiadria della rappresentazione del nudo femminile si coglie nella maggior parte delle opere su carta, alcune delle più fulminanti ispirate dalla poesia di Antonia Pozzi. Canto segreto (1992) è la pubblicazione illustrata della raccolta di poesie della ventiseienne che non riuscì a reggere il peso della vita. L’autoriflessione di Antonia Pozzi e di Domenica Regazzoni sul proprio lavoro denota in entrambe un’istintiva tendenza all’astratto, sicuramente uno dei tratti che ha permesso alla pittrice di rivedersi e riviversi nei versi della poetessa. Il mondo visivo di Domenica fa da contraltare alla scelta radicale della Pozzi, pur evocandone i sentimenti delicati, amplifica il tentativo di placidità dell’animo. La raffigurazione di corpi è connotata da dettagli caratteristici che spesso restano avulsi dall’ambiente circostante, anime leggere di passaggio sulla terra.
La mostra Le ultime Luci 1980 - 1990 (dicembre 2010 - gennaio 2011), al Palazzo comunale di Sestri Levante sposta lo sguardo entro l’estensione spaziale di paesaggi marittimi ben definiti, raffiguranti situazioni e personaggi che roteano intorno al paese ligure. La narrazione avvolge la quotidianità delle vite di pescatori, esperti e giovani. Coglie l’istantaneità dell’attimo in una perpetua estasi del gesto. Rassegna di azioni immutate dallo scorrere del tempo in un’immagine atemporale. Stefano Crespi, curatore della mostra, per commentarne la placidità meditativa degli acquerelli, chiama in causa Gillo Dorfles e il titolo di un suo libro, L’intervallo perduto: “Pausa silenziosa, l’atto spazio-temporale, l’immagine non esonerata dai sensi”.
È proprio questa sinestesia sensoriale che permea la produzione artistica di Regazzoni. Poche macchie di colore del cielo annuvolato restituiscono l’esperienza del mare ligure d’inverno, producono i piacevoli brividi sulla pelle della fredda brezza marina, il suono dei motori dei piccoli pescherecci di ritorno sulla spiaggia sul finire della giornata, accompagnati da gabbiani in cerca di qualche bottino da trafugare, la sensazione della sabbia umida tra le mani raccolta durante una passeggiata pomeridiana. Commistione di sensazioni non solo tattili, uditive e perfino papillari permettono all’immaginazione di divagare negli acquerelli, disperdersi entro lo spazio della carta per raggiungere ricordi di altre stagioni, altre realtà e dimensioni. Sestri Levante è narrata entro le pause di mezzo che intervallano gli spazi tra cielo e terra, spiaggia e mare, intermittenze che compongono le musiche del silenzio. Gli scorci del paesaggio si alternano tra misticismo e realtà, trasparenza e pregnanza del colore.
La rinuncia alla figurazione, per muoversi entro l’universo dell’astratto materico, avviene con sempre maggior volontà sperimentatrice e determina lo stile maturo e più consapevole dell’artista. Dietro questa scelta è decisiva la musica, componente essenziale della vita di Domenica Regazzoni, la accompagna e si accosta al suo vissuto fin dall’infanzia con Dante, il padre liutaio, che le impose di imparare a conoscere il mestiere prima di esporsi, quindi il fratello Cesare, compositore e il figlio Alessio Bidoli, violinista.
Una parte significativa della sua produzione pittorica si ispira ad alcune delle più poetiche canzoni di Mogol e soprattutto di Lucio Dalla. Le raccolte ispirate ai loro testi, Colore incanto (1996) e Regazzoni&Dalla (1998), nascono dal reciproco scambio con i due maestri e, nel caso di Lucio, dall’amicizia che li ha legati per un periodo della vita. Le opere che ne conseguono sono il punto d’incontro tra musica, pittura e poesia; affinità intellettive che legano colore, materia, suono, parola, una ricerca capace di spaziare tra le diverse discipline per restituire porzioni di visibile si attestano come immagini sospese dell’io artistico: E questa nostalgia, ci tocca qui, ci punge qui, ci morde qui... (Mogol), 1994.
Cartoline di percezioni oniriche, alla stregua di non luoghi metafisici ed eterei, penetrante sentimento d’amore permea lo scorrere delle giornate invernali, delle vite, accarezzate dalla cresta dell’acqua in Le onde si’infrangono (Mogol) 1994. La sintassi dei colori, dai blu carichi e profondi ai toni cerulei che scompaiono in violetti siderali e soffusi, si alterna a incursioni di giallo oro o bianco intonaco, carico e pastoso. Ritornano alla mente i paesaggi in acquarello della Liguria invernale, fuori dallo stereotipo dell’immaginario. Gli scenari narrati da Mogol e Dalla sono frutto dell’esperienza vissuta restituita con un linguaggio evocativo, l’eredità musicale viene portata avanti dalla potenza immaginifica della pittura astratta, sublimata in un nuovo contenuto artistico. Lo stesso Lucio Dalla, stupefatto per il lavoro di Domenica, riconosce in lei la capacità di cogliere sfumature dei suoi testi in chiave innovativa. “Le opere di Domenica Ragazzoni -ha scritto Lucio- sono in grado di restituire in maniera composta tratti della spiritualità presente nelle canzoni”. Sottotesti che la finezza di ascolto e interpretativa di Domenica sono stati in grado di raccogliere e stupire lo stesso autore, riconoscendo nella sua poetica espressiva delle ulteriori interpretazioni di senso, fino ad allora, ignoti a Lucio ma in cui ha saputo riconoscersi e apprezzarne la profondità intellettiva.
Sono di quegli anni le mostre alla Fondazione Stelline di Milano (1998) e al Complesso del Vittoriano a Roma ( 2000) ove grazie a Lucio conosce Silvia Evangelisti che vent’anni dopo curerà la mostra Domenica Regazzoni & Lucio Dalla a 4 mani nel marzo 2020, presso la sala d’Ercole di Palazzo d’Accursio.
L’essenzialità e il minimalismo espressivo sono la nuova cifra distintiva, un minimalismo non di materiali ma che realmente riporta all’essenzialità e alla purezza dell’opera ove è possibile immergersi. Andare oltre la percezione della figura, la polimatericità del contenuto del quadro aumenta le possibilità di spaziare della mente verso gli universi onirici del subconscio.
Per oltre vent’anni Domenica si è dedicata alla pittura figurativa, il momento che sancisce questo distacco è contemporaneo a una ricerca in campo paesaggistico che si faccia interprete della natura, non come sfondo dei soggetti in primo piano ma come vera protagonista del racconto. Nelle sue canzoni, Lucio Dalla, agisce analogamente rendendo la natura e i suoi soggetti - la notte, la luna le stelle il mare – che ritornano in una “percezione dell’infinito”. Una natura che viene interpellata punto d’inizio e di massimo raggiungimento del discorso artistico, dapprima con gli acquarelli, in seguito con le intersezioni materiche di canapa, carta strappata e colorata applicata sulla tela, collage, assemblage e tecniche miste. Lavoro di interiorità, raccordo “tra il particolare e l’universale, tra soggettività e oggettività”, espresso sulla tela con uno sguardo puntato al destino dell’uomo, ponte tra “un’unione spirituale e materiale” con la natura e un vano tentativo di addomesticarla, vincerla.
Una materia sabbiosa, alla stregua dell’organico, è la strada che rivela la finezza dello studio personale che le ha valso molteplici riconoscimenti a livello nazionale e internazionale, specie nel lontano Oriente da cui è molto attratta. Tra il 1997 e il 2001 sono le personali in Giappone a Tokyo; nel 2012 inizia un sodalizio con le istituzioni culturali governative di Shanghai, con esposizioni personali all’ Italian Shanghai Center (ex Padiglione Italia EXPO 2010) e alla Tongji University, sede della facoltà di architettura. Nel 2015, per le iniziative di Milano Expo in Città, espone al Palazzo della Permanente la mostra Convergenze Parallele insieme all’incisore cinese Lu Zhiping in collaborazione con il Padiglione Cinese.
Il lavoro di Domenica Regazzoni e Lu Zhiping, analizzato da Ivan Quaroni, è il risultato di un recupero di una pratica -l’incisione - che ha “guidato la mano degli artisti nella realizzazione di grandi capolavori”. Che si tratti di tecniche artigianali o delle più moderne soluzioni dall’acquaforte all’acquatinta, la primigenia è immancabile necessità a questo approccio è il dominio di una certa abilità e competenza tecnica. La qualità artigianale del lavoro è essenziale in qualsiasi pratica incisoria, complessivamente tale dimostrazione di un buon “saper fare” è evidente in entrambi gli artisti pur nella netta differenza di stile e caratterizzazione culturale. Un ottimo esempio delle opere poste in dialogo e confronto si può apprezzare in Matrice I collage polimaterico, altresì Henna (2014), sovrapposizione di stoffe rettangolari con un profondo solco rosso al centro della composizione.
Nel 1999, in seguito alla scomparsa del padre Dante, cui era legatissima, realizza la mostra Dal legno al suono, a cura di Gillo Dorfles, ispirata all’arte della liuteria con esposizioni a Palazzo Vecchio a Firenze (2003) e all’Auditorium Parco della Musica di Roma (2006). Nel 2008 una nuova serie di opere sullo stesso argomento è oggetto della mostra Scolpire la musica, a cura di Martina Corgnati, allestita in prestigiose Istituzioni quali Università Bocconi di Milano e Museo Internazionale e Biblioteca della Musica a Bologna e a Kyoto (Galerie Miyawaki).
La realtà scultorea che va a indagare si riconduce a un aspetto centrale nel suo vissuto sin dall’infanzia che più volte ritorna in questo testo: la musica. Proveniente come detto da una famiglia di liutai, le sonorità del lavoro con lo scalpello si mescolano a quelle del prodotto finale, rifinito e sapientemente accordato.
Come afferma Gillo Dorfles nel catalogo Dal legno al suono, non soltanto nelle sculture lignee di Domenica i violini vengono “resuscitati”, ma “ sono un esempio di quanto sia ancora fondamentale per tutte quante le arti un approccio che vorrei definire “artigianale” nell’accezione più nobile della parola”.
Le sculture si impadroniscono della scena rievocando lo scrupoloso e certosino lavoro paterno in grado di conferire armonia sonora al pregiato materiale. Donare il giusto calore al suono è alla base del lavoro di liutaio, stessa attenta scrupolosità conferita alla ricerca estetica del legno da scolpire, colorare e rimodellare utilizzata nelle innovative composizioni scultoree di Domenica. Violìni che appaiono incompleti, parti essenziali, provenienze o destinazioni del legno intuibili attraverso le “f” incise sul corpo, una cassa che risuona della maestria paterna, ereditata o acquisita con l’osservazione dell’operato chirurgico messo in atto. Connubio poetico tra indagine dell’armonia delle forme e studio delle sezioni che compongono lo strumento. Violini, viole, contrabbassi dal lungo collo, smembrati e riassemblati in innovative soluzioni, da oggetti di studio classico e composizione, si riducono all’estrinseca anima curvilinea di movimento. Con la tekné, la tecnica con cui si analizza lo strumento e la sua realizzazione, si arriva all’archetipo che ora non cela più segreti. Si può sperimentare con le forme, si possono trovare soluzioni non convenzionali di dimensioni e di materiali, bronzo e alluminio sulla cui superficie riflettente si rispecchia la collocazione di giardini urbani dislocati per l‘Italia e l’Europa. Dal 2009 una sua grande scultura, Violino spaccato, è esposta in permanenza nel Coltea Park della piazza dell’Università di Bucarest.
I bozzetti di scultura (2005-2006) denotano maggiormente lo studio incentrato puramente sulla materia lignea. La singolarità delle venature, la sensazione di potenza e sostegno capace di restituire un buon legno, la necessaria manualità e profonda conoscenza del materiale per potervi incidere. Rappresentazioni palpabili sulla singolarità utile per introdurre la riflessione sulla vastità del macrocosmo che lo compone.
I colori del buio sono una serie capace di colpire particolarmente per il titolo che si sottrae alla natura delle immagini, ori liquidi fanno da basamento alle incursioni polimateriche dei quadri: tele di iuta funzionano da supporto e druse di pietre si innestano fondendosi con gli ulteriori elementi. Accolgono e mescolano le molteplici sfumature di blu carichi dipinti su tela o tavolette lignee. Il suo lavoro trattiene un’eleganza formale che trasmuta nel candore delle legature pittoriche, accostata alla sperimentazione polimaterica aggraziata e fine. Blu permeanti e avvolgenti, ori liquidi che sembrano presi direttamente dai mosaici bizantini con inclusioni di pietre olistiche di variegata trasparenza e sfumatura. La serie costituita da materiali carichi e pastosi pare voler indagare la natura da dentro per arrivare alla particolarità della materia. Il titolo di questi lavori sembra posto in antitesi rispetto alle opere che riflettono di luce propria.
Nel 2000 viene pubblicata una monografia dedicata alla poesia Haiku, introdotta da un breve testo di Yagyu Fujio. “Trattandosi di una forma molto breve, i poeti usano necessariamente molte parole simboliche ed espressioni condensate. Cercando di comprendere il loro significato, si sviluppa nella mente un mondo allusivo”.
Sullo stesso soggetto nel 2021 Regazzoni ha pubblicato un nuovo catalogo a cura di Silvia Evangelisti, con ventiquattro illustrazioni originali ispirate all’antica poesia giapponese.
Gli Haiku, componimenti in soli tre versi, che conobbero il loro massimo successo in Giappone tra il XVII e il XIX secolo, sono utilizzati prevalentemente per descrivere la natura e gli accadimenti umani direttamente collegati ad essa. È innegabile che i lavori di Domenica Regazzoni siano assimilabili agli Haiku sia per la capacità di raccontare piccoli universi che per la loro naturale propensione alla meditazione introspettiva. Aggraziati, magici, misteriosi, arcaici, silenti, stupefacenti paesaggi che si compongono di sovrapposizioni e sfumature cromatiche dai lievi colori alternandosi tra toni di un freddo glaciale accostati a rossi scarlatti e arancioni che ispirano calde e afose estati d’agosto.
Delicati e intimi, accompagnano da più di vent’anni la produzione di Domenica Regazzoni, svolgendo un ruolo analogo a quello poetico: brevi e immediati restituiscono un pensiero momentaneo. Composizioni che, proprio per la loro essenzialità ermetica, necessitano di un equilibrio minimale, che convogli all’estrinseco un pensiero o un’immagine. Toni caldi per indicare una giornata soleggiata, blu per esprimere gli elementi naturali di acqua, cielo e vento: opere che “dicono che la bellezza esiste ma non è perfetta”, come ha scritto Silvia Evangelisti.
Le serie di delicati Haiku invoglia ad abbandonarsi liberamente a un “tempo senza tempo”, una ripresa dei propri spazi personali, affrancandosi dal sovraccarico di ulteriori sovrastrutture, sono “geografie minime” del divagare della mente verso emotività vissute o da scoprire con il candore che una mente fresca e giovane è in grado di evocare. Questa calma e la voglia di indugiare si accostano alla costante consapevolezza dei momenti vissuti, permeano il quotidiano e trattengono ogni volta qualcosa di differente da poter manipolare e ricercare in infinite declinazioni di poesia scritta e visuale.